Nutriscore: il sistema informativo di etichettatura che divide l’Europa


Sviluppato da ricercatori dell’università di Parigi e dell’Inserm, il Nutri-Score è un sistema informativo utilizzato nelle etichette dei cibi, che ha lo scopo di aiutare il consumatore a seguire abitudini alimentari più salutari. Posto sul lato frontale della confezione di un prodotto, Nutri-Score si basa su una scala cromatica di cinque colori: agli estremi troviamo il verde scuro (con la lettera A, che corrisponde alla valutazione nutrizionale migliore) e il rosso acceso (con la lettera E, che indica la valutazione peggiore). In mezzo gradazioni più chiare di questi due colori, e le lettere B, C, D. Il valore è calcolato analizzando il contenuto di sostanze benefiche in 100 grammi di prodotto. Poi attraverso un complesso calcolo, si ottiene un punteggio finale, che permette di assegnare sia un colore che una lettera a uno specifico alimento.

Introdotta prima in Francia, questo tipo di etichetta è utilizzata anche in Belgio, Spagna e Germania. Invece, in Italia il dibattito si divide tra coloro che sono favorevoli e coloro che sono contrari alla sua introduzione, preoccupati dal fatto che questo tipo di etichettatura possa danneggiare il Made in Italy e le eccellenze del suo settore agroalimentare.

Da una parte, i sostenitori della sua introduzione affermano che il Nutri-Score non faccia una lista degli alimenti buoni e cattivi, ma sia un prezioso aiuto per adottare comportamenti alimentari corretti, a beneficio della nostra salute. Da questo punto di vista, l’etichetta risulta essere un indice sintetico e facilmente comprensibile da parte dei consumatori, grazie soprattutto all’utilizzo dei colori. Infine, il valore indicato si riferisce a 100 g di prodotto, consentendo il confronto tra prodotti con porzioni diverse. Per esempio, l’olio d’oliva viene classificato con il miglior punteggio possibile tra gli oli vegetali, (nella categoria C), ed è quindi migliore dell’olio di soia, girasole e mais, classificati in D, e dell’olio di cocco e di palma e burro, nella categoria E

Dall’altro lato, i detrattori sono convinti che, dato che l’Italia vende all’estero grandi quantità di prodotti a valore aggiunto, essi possano essere marchiati da etichette che possano dissuadere il consumatore dall’acquistarli. In aggiunta, come afferma in un’intervista al Sole 24Ore Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura,“il settore agroalimentare italiano si sente messo sotto attacco anche dalla recente approvazione, da parte della Commissione, del Piano per la salute, che prevede la presentazione entro il 2023 di una proposta per introdurre avvertimenti salutistici nelle etichette delle bevande alcoliche senza escludere esplicitamente il vino, ma anche la revisione della politica di promozione dei prodotti agricoli dell’Ue con l’obiettivo di ridurre i consumi di vino, carni rosse e salumi”.

L’alternativa italiana è la Nutrinform Battery, detta anche etichetta a batterie, sulla quale figurano cinque pile stilizzate, che indicano sia i valori di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale – contenuti in una porzione di prodotto – sia le percentuali di ciascuna di queste voci rispetto alle assunzioni di riferimento giornaliere (di un adulto medio). Benché piaccia a molti, questa alternativa sembra limitarsi a trasformare la tabella nutrizionale in un grafico a barre, che non aiuta la comprensione da parte del consumatore. Inoltre, l’utilizzo della batteria rischia di essere fuorviante: nella percezione comune, più la batteria è carica meglio è, mentre nel caso dell’etichettatura è vero il contrario.

Alla luce delle due posizioni fin qui evidenziate, la Commissione UE, chiamata a redigere diversi studi di impatto prima di presentare la propria proposta legislativa, ha scelto di sondare i consumatori europei. I risultati raccontano una battagli ancora molto aperta: il 20% degli intervistati è ha favore del Nutriscore, il 29% predilige l’etichetta a batteria proposta dall’Italia, l’8% vorrebbe un’etichetta a semaforo che sia le sintesi delle due proposte precedenti. Ma soprattutto, oltre il 40% dei consumatori è ancora indeciso: vince chi riuscirà a conquistare questa fetta.